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Episodio 10 – Motociclisti da Bar – Pier Giorgio Bontempi: storie di motori, passione e libertà

Episodio 10 – Motociclisti da Bar – Pier Giorgio Bontempi: storie di motori, passione e libertà

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Storie di motori, passione e libertà

Seduti al nostro “bar dei motori”, oggi vi portiamo dentro una chiacchierata vera, di quelle che sanno di miscela, di gomme calde e di amicizia.
Siamo qui per raccontarvi la storia di uno dei grandi nomi del motociclismo italiano: Pier Giorgio Bontempi.
Un pilota che ha saputo unire talento, sacrificio e passione pura, un uomo che ha vissuto la pista non come spettacolo, ma come parte della sua anima.

Peppe:

Allora, oggi siamo qui nel nostro bar per raccontarvi una storia speciale. Una storia fatta di corse, sogni e sudore.
Vi parlerò di un personaggio che ho tanto amato, perché rappresenta quel motociclismo autentico, viscerale, che ti entra sotto pelle.
Pensate: il suo nome è inciso nella Hall of Fame dei migliori piloti Superbike di tutti i tempi.
Debutta nel 1987, vince il suo primo Gran Premio a Monza nel 1992, e da lì una carriera lunghissima, fatta di quasi 200 Gran Premi, 198 per la precisione.
Sto parlando di Pier Giorgio Bontempi.
Pier Giorgio, benvenuto nel nostro bar!

Pier Giorgio:

Ciao Peppe, buongiorno a te e a tutti gli amici che ci seguono! È un piacere essere qui.

Peppe:

Ogni volta che ci vediamo, mi emoziono. Ti devo confessare una cosa: io facevo il tifo per te!
Te lo dissi già una volta. Per me in Italia ci sono stati due grandi piloti che ho amato davvero.
Uno è un tuo amico (non lo nomino, perché non voglio fare polemica 😄), e l’altro non l’hai mai conosciuto ma per me resta un mito: Renzo Pasolini.

Sai perché lo amavo?
Perché Pasolini era l’esempio perfetto di pilota puro: uno che portava al limite la moto che aveva, anche se non era la più potente.
Io ho sempre pensato che non dev’essere la moto a fare il pilota, ma il pilota a rendere grande la moto.
E tu, Pier Giorgio, sei sempre stato così.

Parlo ovviamente di Agostini e Pasolini: Agostini è stato un mostro sacro, certo, ma aveva una moto ufficiale, la migliore. Pasolini invece correva con una Benelli o una Aermacchi, moto più piccole, eppure riusciva a infiammare il pubblico.
Mi ricordo mio padre che alla radio urlava: “Sta vincendo Pasolini!”. Erano gli anni ’70, gli anni in cui nasceva il grande motociclismo italiano… e anche tu, che sei del ’68, respiravi quell’aria lì.

Raccontami un po’: come nasce la tua passione? Come arrivi a correre in Superbike?

Pier Giorgio:

Beh, Peppe, intanto grazie per la bellissima introduzione. Essere accostato a nomi come Agostini e Pasolini è un onore enorme.
Pasolini, purtroppo, non ho avuto modo di conoscerlo: morì nel tragico incidente di Monza nel 1973, io avevo appena cinque anni. Però ne sentii parlare tanto.
Era considerato l’antagonista di Agostini, il pilota romantico, quello che sfidava i giganti con mezzi inferiori ma con un cuore immenso.

Per quanto mi riguarda, la mia passione nasce in famiglia. Mio padre era un motociclista vero, appassionato di competizioni.
Non amava fare turismo: amava la velocità, l’adrenalina.
Mi ricordo ancora la Kawasaki 750 tre cilindri due tempi che aveva: una moto pazzesca, rumorosa, cattiva.
Quando la metteva in moto, il rumore lo sentivi dentro lo stomaco, e l’odore del ricino — quell’aroma unico, dolciastro e pungente — ti restava nelle narici per ore.
Sono profumi e sensazioni che oggi purtroppo non esistono più.

Da lì è partito tutto. Cominciai a correre per passione, poi la passione divenne un lavoro, e il lavoro una missione.
Perché quando ami davvero qualcosa, i sacrifici non li senti.

Peppe:

Sai, oggi si organizzano corsi per diventare “tour leader”, o addirittura corsi per “diventare pilota”. Ma io penso che o leader lo sei, o non lo sei.
Un pilota puoi formarlo tecnicamente, ma non puoi insegnargli a sentire la moto.
Per guidare a 300 all’ora non basta la bravura: serve quel pizzico di follia, quella luce negli occhi che non si impara da nessuna parte.

Pier Giorgio:

Hai perfettamente ragione. Il pilota lo sei dentro.
Quando inizi a girare in pista, capisci subito se è la tua strada oppure no.

Ti racconto un aneddoto che mi disse Graziano Rossi, il papà di Valentino, una persona a cui devo molto, insieme a Fabio Sartini, che mi aiutò all’inizio della carriera.

Graziano mi disse una volta:

“Sai quando capisci se sei un pilota vero? Quando arrivi in fondo al rettilineo di Misano, stacchi forte, ti senti un campione… e poi ti passa accanto uno ancora piegato, due marce in meno, e ti rendi conto che forse è meglio cambiare mestiere.”

Ecco, in quel momento capisci se dentro hai davvero la stoffa.

Peppe:

Fantastico. E senti, oggi sembra che la MotoGP abbia oscurato la Superbike, ma io trovo che la Superbike sia la categoria più vera, dove conta davvero il pilota.

Pier Giorgio:

Sono d’accordo.
La MotoGP è la massima espressione tecnologica: moto prototipo, mezzi da laboratorio.
La Superbike, invece, nasce da moto di serie, quelle che la gente può comprare.
E lì il pilota conta tantissimo, perché le moto sono più simili tra loro. È il talento che fa la differenza.

Io sono cresciuto con la Superbike: ho esordito nel 1989, quando la categoria era giovane, e ho avuto la fortuna di viverla nei suoi anni d’oro.
Lì si respirava un’aria familiare, di passione pura. Oggi è tutto più chiuso, più professionale, ma capisco che il progresso porta anche questo.

Peppe:

A proposito di progresso: oggi molte moto italiane vengono prodotte in Cina o con componenti asiatiche.
Secondo te è un passo avanti o stiamo perdendo qualcosa?

Pier Giorgio:

È un tema delicato.
Da un lato c’è la necessità industriale: i costi, il mercato, la globalizzazione.
Dall’altro, però, si rischia di perdere un po’ dell’anima artigianale italiana, quella fatta di passione e competenza.
Una volta chi costruiva moto respirava miscela e viveva la pista. Oggi molti amministratori guardano solo i numeri.
Ma, nonostante tutto, dobbiamo essere orgogliosi: l’Italia ha insegnato al mondo come si fanno le moto.
Negli anni ’80 e ’90 i giapponesi venivano nei nostri paddock a fotografare le moto italiane per copiarne i dettagli.
E quella scuola, quella cultura, non morirà mai.

Peppe:

E tu oggi porti avanti quella passione con il tuo negozio, “Generazione Moto”.
Io lo dico sempre: tu non vendi moto, tu trasmetti emozioni.

Pier Giorgio:

Ti ringrazio. Sì, per me è un modo per restare in contatto con la mia passione e per diffondere la cultura della sicurezza.
In pista si è fatto tanto, ma su strada c’è ancora molto da fare.
Serve più cultura, più formazione, più consapevolezza del rischio.
Bisogna insegnare a vivere la moto con rispetto: perché è libertà, ma anche responsabilità.

Peppe:

Ed è proprio su questo che voglio chiudere.
Cosa diresti ai ragazzi che oggi sognano di andare in moto, di sentire quella voce del motore che ti chiama?

Pier Giorgio:

Direi loro di iniziare dalla passione, ma con giudizio.
La strada è fatta per viaggiare, per godersi i paesaggi, i profumi, i colori, la libertà.
Se volete correre, fatelo in pista, con sicurezza e preparazione.
La moto è qualcosa di meraviglioso, un’estensione di te stesso, ma va rispettata.
E se la vivi con criterio, ti accompagnerà per tutta la vita.

Peppe:

Parole vere, Pier Giorgio.
Io dico sempre che quattro ruote muovono il corpo, ma due ruote muovono l’anima.

Pier Giorgio:

Verissimo, Peppe. E grazie per questo caffè insieme.
Sai, quando sento le persone raccontare i tuoi tour in moto in Sicilia, dicono sempre:

“La Sicilia fatta con Peppe è la regione più bella del mondo.”
E questo è bellissimo, perché vuol dire che la passione arriva, e che le due ruote uniscono le persone.

Peppe:

Grazie di cuore, Pier Giorgio. È stato un onore averti qui.
Ti aspetto presto di nuovo nel nostro bar — perché un caffè tra amici, davanti a un motore, vale più di mille corse.

“Quattro ruote muovono il corpo, due ruote muovono l’anima.”

Guarda il video completo su Youtube:

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