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Lambretta…

Ultimamente sto viaggiando spesso in Tunisia ed ogni qual volta non vedo l’ora di andare. Immagini, come la foto pubblicata, per alcuni potrebbe sembrare una semplice curiosità o allegoria se non addirittura qualcosa da criticare. Per quanto mi riguarda, invece, mi regalano un’emozione unica.
Andare in Tunisia mi riporta indietro nel tempo; probabilmente perché sono meridionale con tanto di certificazione “terun”.
In fondo non credo che sia solo un problema che risiede all’appartenenza geografica quanto un qualcosa che attinge dalla propria memoria, dal proprio vissuto.
Sul finire degli anni ’60 e già questo denota che non sono ”fresco di fabbrica” mio padre possedeva la mitica Lambretta, non so se qualcuno di voi ha memoria di questo mezzo antesignano degli scooter di oggi, era il modello con la pedana in legno, comprato già di seconda mano e con un numero imprecisato di chilometri sulle spalle.
A quei tempi papà Concetto non aveva l’auto in quanto, probabilmente, non eravamo nelle condizioni economiche di comprarne una.
Quelli erano i tempi della FIAT 600, il modello poco più grande della 500 e dedicato più ad un uso familiare ma, niente di tutto questo.
In famiglia eravamo in quattro, praticamente mio fratello più giovane di me di circa di 3 anni era quello da sistemare. Cercherò di spiegarmi meglio: tutte le domeniche si partiva in viaggio. Quello che oggi potrebbe sembrare un’esagerazione, percorrere circa 30 chilometri e definirli viaggio, a quei tempi era davvero un’avventura.
Partivamo dalla mia natia città, Acireale, per raggiungere un paese ai piedi dell’Etna laddove un famoso bar preparava dei biscotti al cioccolato. La preparazione alla partenza era da anteprima gran premio di formula uno: imbottiti tra maglioni, cappotti e affini prendevamo posto sulla nostra lambretta.
Mio padre ovviamente alla guida, mia madre seduta di traverso con mio fratello in braccio ed io stavo in piedi davanti con le mani sul manubrio, praticamente una sorta di cupolino umano.
Il ricordo del vento in faccia ancor oggi mi commuove, guardare il tachimetro con la speranza che superasse i 50 orari era una sorta di sfida mista a desiderio. Probabilmente l’idea ed il desiderio di viaggiare in moto risiedono e nascono in me già allora.
Già, il vento in faccia. Ancor oggi viaggio col modulare aperto, è qualcosa che mi fa sentire vivo, mi regala un’ebrezza che non so descrivere.
Ecco vivere immagini come questa mi riportano indietro nel tempo, riescono a far tornare quel ragazzino che col vento in faccia sognava di superare i 50 orari.
Buona strada a tutti – Peppe Pagano

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