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Marocco: Maggio 2018

a cura di Silvia Gambin

Marocco: il cielo blu sopra le nuvole.
“Se non ci fossero in tutte le cose i molti impossibili, non ci sarebbe il possibile” (aforisma marocchino).

Il molo è deserto e silenzioso, il fazzoletto di mare che si estende davanti ai nostri occhi è di quelli famosi nella storia del mondo, acque contese nei secoli dalle popolazioni di terre in contrasto per il dominio di vasti territori. Il sole è velato dalle nuvole all’orizzonte e l’aria ci sfiora il viso con fare frizzantino davvero fuori luogo per la posizione geografica in cui ci troviamo.

Schierate sul molo le sedici moto partecipanti al viaggio, con a bordo i loro condottieri e passeggeri, attendono con aspettativa di attraversare lo stretto tratto di mare che le separa dal continente africano
Lasciando andare lo sguardo oltre le acque si può scorgere la terra marocchina che ci aspetta per farci vivere splendide nuove emozioni.
Per alcuni è l’inizio di un martedì qualunque, ma per noi è un giorno davvero speciale che ci porterà all’inizio del nostro viaggio in Marocco.
Scesi dal traghetto, e svolte le pratiche burocratiche per l’accesso al Paese, ci avviamo in carovana verso la nostra prima tappa costeggiando un tratto di mare che ci conduce fino alla medina d’ Assilah.

Risolto il problema parcheggio e custodia moto (per la scelta dei custodi c’era l’imbarazzo) ci dirigiamo, scortati da una guida locale, ad esplorare le stradine e vicoletti della medina.
Assilah è una cittadina fondata probabilmente dai fenici e contornata dalle mura costruite dai portoghesi nel xv secolo. È diventata nota ai turisti grazie al festival d’arte che ospita ogni anno dal 1978 e che vanta la presenza di artisti che arrivano da tutto il mondo.
Passeggiare tra i vicoli azzurri e bianchi di questa piccola fortezza è davvero suggestivo; il tocco di colori vivaci viene dato dai murales lasciati a testimonianza del passaggio degli artisti partecipanti al festival.
Per un attimo ci perdiamo nell’atmosfera vacanziera, il mare sullo sfondo, il profumo di salsedine e il sole sono i complici di questa deliziosa passeggiata.

Di certo davanti a cotanta bellezza non ci siamo scordati del nostro pranzo e ci avviamo affamati alla degustazione del nostro primo tajin.
Il tegame è completamente fatto in terracotta e dà il nome alla pietanza che vi viene cucinata, gli ingredienti base possono variare ma le spezie rimangono una certezza.
Soddisfatti del nostro pranzo a base di pesce e verdure, risaliamo sulle nostre moto alla volta di Rabat che ci ospiterà per la notte.

Rabat è la capitale amministrativa del Marocco e città protetta come Patrimonio dell’Unesco; ospita attualmente il Palazzo Reale, è costruita sulla riva sinistra del fiume Bou Regreg, si affaccia sull’Oceano Atlantico ed è la seconda città più popolata del Marocco.

L’indomani mattina il cielo al nostro risveglio è contornato da nuvole minacciose. Percorriamo le strade lasciandoci via via un paesaggio che denota la cura che i contadini di queste zone hanno per la loro terra, campi coltivati e piante di agave e fiorellini colorati punteggiano fazzoletti erbosi di un verde brillante.
Attraversiamo centri abitati dove convivono serenamente utilitarie ultimo modello ed asinelli con andatura stanca carichi di merci, donne vestite all’occidentale e signore con il capo coperto e lunghi vestiti colorati.
Il Marocco già da questo primo assaggio ci appare denso delle sue tante contraddizioni e particolarità.
Lungo la strada siamo un’insolita attrattiva per chi ci incontra, visto il colpo d’occhio che suscita la vista di sedici moto ed unfurgone che viaggiano in carovana. Per noi invece è particolare incontrare pick up stracarichi di angurie e carretti stipati all’inverosimile con quanto più fieno possibile.

Sotto un cielo che non promette nulla di buono e confortati dalla serenità di tante pecorelle che pascolano nei prati verdi che incontriamo lungo la strada, arriviamo a Volubilis.
La città fu annessa all’ impero romano nel 40 d.C. e ne divenne la producente comunità agricola che riforniva l’esercito dell’impero di grano, olio d’oliva e vino. Il sito è diventato Patrimonio dell’Unesco nel 1997 e dà la possibilità di ammirare un arco di Trionfo ancora integro e, dai gradini della Basilica, si può contemplare tutta l’estensione che aveva la città nel suo periodo più fiorente.
La nostra camminata è accompagnata dallo sguardo curioso di alcune cicogne che ci osservano dall’alto del loro nido costruito sopra le colonne intatte dei palazzi.

Cercando di convincerci che tutto sommato è meglio una giornata senza sole per affrontare queste passeggiate archeologiche ci avviamo verso le nostre moto, osservando le mimose che, in questo posto, sono davvero enormi.
E come ci prometteva dal mattino il meteo, ecco che arriva la tanto temuta pioggia lungo il percorso che ci porta a Fez. Proprio mentre cerchiamo il nostro hotel l’acqua ci bagna non solo vestiti e moto ma anche la speranza di trovare il tanto agognato sole marocchino.
Se è vero il detto che “dopo il brutto arriva il bello”, per noi la riprova è un tipico hotel all’interno della Medina, avendo anche la possibilità di inoltrarci alla scoperta della città in modo più rapido.

La visita della Medina è guidata, quindi seguiamo incuriositi il nostro accompagnatore che ci fa esplorare vicoletti e piazzette in cui trovano residenza settantamila persone. Praticamente la zona urbana pedonale più vasta del mondo.
Vi confesso che l’approccio con tutti questi vicoletti, la pioggia, la merce esposta in qualsiasi posto disponibile e i duecento chilometri appena percorsi in moto, mi hanno disorientato.
Cercando comunque di rimanere compatti seguiamo la nostra guida che ci conduce prima a conoscere i prodotti confezionati con il famoso olio di Argan e poi alla visita di una conceria, dove abbiamo trovato un simpatico ex -lombardo che è rimasto in Italia a lavorare per molti anni e che ora è ritornato felicemente a rivivere nel suo Paese.

Naturalmente le attività sono molteplici all’ interno della Medina. È bellissimo vedere la cottura del pane in particolari forni quasi incassati nel pavimento e le incantevoli manifatture derivate dalla lavorazione a telaio.
La nostra visita a Fez non poteva che finire con una succulenta cena marocchina a base di tajin di carne, mandorle e prugne, in un’atmosfera rilassata, seduti attorno a tavoli rotondi bassi e circondati da bellissimi stucchi e ceramiche colorate.

Il mattino seguente dopo una deliziosa colazione lasciamo Fez, ma non prima di aver fatto una bella foto striscione con panoramica sulla città che si
manifesta in tutta la sua bellezza e la sua estensione.
Un timido sole ci dà speranza per una giornata dal clima accettabile e così confortati ci avviamo verso Ifrane, insolita località del Marocco.
Il paesaggio che ci si presenta è a dir poco incredibile. Le case hanno i tetti spioventi e le costruzioni sono tipicamente alpine. Ifrane infatti è soprannominata la piccola Svizzera, il suo clima con copiose nevicate d’ inverno e fresco d’ estate le ha dato il primato di località di villeggiatura più gettonata del Marocco.

Posteggiate le moto praticamente in piazza, ci concediamo una passeggiata ed un caffè in questa cittadina famosa per le attività sportive invernali. Davvero ci sembra impossibile trovarci in Marocco, non certo quello del nostro immaginario.
Non curanti delle nuvole che oramai sono compagne fedeli del nostro viaggio, ad un certo punto la fermata è d’obbligo visto la difficoltà di un componente a proseguire causa una foratura.
Qualcuno ha commentato che almeno lo spiacevole inconveniente è avvenuto in un paesaggio decisamente piacevole. Ma ciò non toglie che la rabbia del proprietario della moto era decisamente legittima, anche davanti al pronto intervento dell’equipe Motoexplora composta dai “tuttofare” Davide ed Ismaele.

Decisi a proseguire il viaggio, ci fermiamo a pranzare in una località davvero particolare. Cascate con vasche d’acqua dolce e salata, fanno da sfondo a questo villaggio che esiste solo durante la primavera e l’estate, visto che d’inverno è interamente ricoperto di neve.
Il pranzo manco a dirlo è a base di tajin, questa volta degustato come fanno i locali. Abolite le posate ci lanciamo in funamboliche contorsioni per non far cadere verdure e carne dal pezzo di pane che utilizziamo come piatto, naturalmente seduti per terra attorno a tavolini bassi sistemati su terrazze che dominano il corso d’acqua principale del villaggio.

Riprendiamo la strada dopo la nostra pausa rigenerante per raggiungere la località che ci ospita per la notte: Afourer.
Il mattino ci accoglie con un bellissimo sole e subito ne approfittiamo per scattare le foto delle città e della vallata dov’è collocata, dall’alto della catena montuosa del medio Atlante.

Il panorama che ci offre oggi il Marocco è speciale. Corsi d’ acqua e canyon, paeselli dove le scuole hanno le pareti colorate, campi di papaveri e grano.
Coccolati da un insolito sole (quasi quasi ci stiamo abituando) raggiungiamo uno dei posti più incredibili che possa offrire il Marocco, le cascate di Ouzoud. Si tratta di tre salti d’acqua alti circa 110 metri a 1060 metri sul livello del mare, situate in un contesto verdeggiante che contrasta con il rosso della terra. In questo luogo, per quanto mi riguarda, si respira un senso di serenità… la magia della natura.

Passeggiando per raggiungere il livello più basso dove l’acqua in caduta finisce la sua corsa, incontriamo ulivi, mandorli e tra i sentieri incrociamo asinelli e macachi berberi che vivono liberi in questi luoghi. Il pranzo lo consumiamo sulla terrazza di un ristorante a ridosso delle cascate. Questa volta il nostro tajin ha un sapore ancora più insolito, visto che da qui dominiamo il laghetto che abbiamo appena navigato sulle zattere in un contesto davvero divertente. Ma il relax di un viaggio da veri esploratori non può essere mai troppo, e così rieccoci in sella per proseguire verso una delle mete più importanti di questa avventura: la famosa città di Marrakech.

Dopo la cena in hotel situato a poca distanza dal centro, alcuni di noi decidono di fare una passeggiata nella Marrakech notturna, proprio nel cuore pulsante della città, la piazza di Jemaa el-Fna. La grande piazza è invasa da artisti di strada, musicisti, incantatori di serpenti, luci fuochi e vociare assordante. In questo turbinio di suoni e colori decidiamo di osservare tutto ciò dà un’altra prospettiva e ci dirigiamo in una delle tante terrazze dei numerosi bar e ristoranti che dominano la piazza, per degustare un tè alla menta.

Il risveglio all’indomani è di quelli sereni visto che oggi facciamo i turisti visitando il centro di Marrakech accompagnati da una guida, lasciando così per una giornata le nostre moto a riposo.
La città brulica di turisti e la fila è d’obbligo per ammirare la Tomba del sultano Ahmed al-Mansour ed-Dahbi nel complesso delle Tombe dei Saaditi.

Nell’ammirare la Sala delle Dodici Colonne decorata con stucchi (muquarna), marmo di Carrara importato dall’Italia e decorazioni in oro puro, ci rendiamo conto della pot passeggiata enza del sultano che ha fatto costruire un mausoleo degno di accogliere la sua salma.La passggiata prosegue e riusciamo ad en trare al Palazzo el-Bahia, un sontuoso edificio composto da 150 stanze su otto ettari di terreno. Nonostante la presenza dei molti turisti impedisca una visita tranquilla, la sontuosità di questo edificio impressiona. La foto striscione nella corte d’onore del palazzo, un cortile pavimentato con marmo di Carrara e decorato con mosaici gialli e blu, è d’obbligo. Qui il popolo attendeva per ore sotto il sole la clemenza di Bou Ahmed ma noi oggi ci accontentiamo di invocare la presenza del sole marocchino. Prima di uscire dal palazzo passiamo per l’harem, un cortile decorato con marmi, piante e fontane dove in passato vivevano le 4 mogli e le 24 concubine di Bou Ahmed.

Marrakech è famosa anche per il suo souq, e qui ci inoltriamo per i vicoletti ammirando le miriadi di merci esposte in pile interminabili e contenitori enormi dove fanno bella mostra spezie e erbe di ogni genere per la cura del corpo e dell’anima.
Dopo la doverosa scorta di spezie e olio di argan in una erboristeria del souq, passando per la piazza Jemaa el-Fna, ci dirigiamo alla terrazza di un ristorante che ci ospiterà per il nostro ennesimo tajine, questa volta però di sapore internazionale così come vuole la città che ci ospita. Il pomeriggio a Marrakech passa tra una passeggiata fra le bancarelle e la ricerca di adesivi da attaccare alle moto, osservando il giorno che finisce lasciando che gli ultimi raggi di sole colorino la città d’ocra.

La partenza all’indomani è caratterizzata da un cielo plumbeo. Il percorso che ci accingiamo a fare ci porterà ad attraversare la catena montuosa dell’Alto Atlante fino al suo punto più alto: il famoso passo Col du Tichka a 2260 metri.

La pioggia, la nebbia ed il freddo sono i nostri compagni di viaggio per questo inizio mattinata, impedendoci così di godere del panorama che ci circonda. I tornanti che le nostre moto devono affrontare ci inoltrano in una natura che lascia spazio a rocce e terreno spoglio, dove le piante via via si diradano per prepararci ad un terreno desertico. Arrivati al passo Col du Tichka il freddo è pungente tanto che è difficile scaldarsi anche con un bollente tè alla menta. Gli occhi però almeno possono gioire del sole che nel frattempo ha fatto capolino dalle nuvole. Proseguendo le sfumature del panorama cambiano di chilometro in chilometro, la terra rossa d’africa lascia spazio alle rocce color grigio ed al terreno senza alberi ed erba.
Nemmeno il tempo di godere della temperatura mite arrivata con il sole che subito l’imprevisto ci coglie.

Arrivati a Telouet troviamo un ottimo pranzo, neanche a dirlo, a base di tajin.

Riuniti su una terrazza che domina il centro di questo villaggio berbero, Aissà,un amico del luogo, ci racconta che d’inverno il paese si ricopre di neve regalando un panorama davvero suggestivo e totalmente diverso da quello di oggi.
La kasba di Telouet un tempo godeva di ricchezza grazie alla sua posizione strategica visto che era di passaggio per le carovane di mercanti che collegavano le principali città del deserto al di là dell’Atlante. Vicina alle miniere di sale, il cui commercio era affidato ad una prospera comunità ebraica, era di proprietà della dinastia del pascià Glaoui fino al 1953.

Davvero difficile pensare alla potenza di questo luogo vedendolo adesso. Passeggiando verso la kasbah, circondati dalla terra rossa, si nota la decadenza di questo gioiello dell’architettura berbera, sebbene Aissà ci rassicura che si sta facendo il meglio per conservare questo luogo e trasmetterlo ai posteri. L’interno della kasbah è un susseguirsi di stucchi sontuosi, ceramiche colorate, soffitti in legno di cedro dipinto e fa riflettere che per realizzare questa meraviglia furono reclutati oltre trecento artigiani. Ritornando verso il paese ci fermiamo per ammirare la lavorazione e la realizzazione di tappeti berberi, confezionati in casa e venduti tramite una cooperativa gestita da una signora italiana e da suo marito originario di Telouet. Salutati i nostri nuovi amici riprendiamo la strada che ci condurrà a Ouarzazate.

Tutta la zona di Ouarzazate si è sviluppata dagli anni venti grazie agli interventi dei francesi e si è imposta all’industria cinematografica negli anni cinquanta come location di film famosi.La valle del fiume Ounila è rigogliosa di vegetazione e colture e si trova alla base della cittadina di Ait Benhaddou che sorge sulla collina. Quasi affiorasse da una montagna di fango (il rosso è il colore predominante) è stata una delle location del film di Franco Zeffirelli “Gesù di Nazareth”.

Trovato un bellissimo promontorio riusciamo a fare una foto con la città e la vallata sullo sfondo, davvero uno dei luoghi che si avvicinano di più all’immaginario che abbiamo del Marocco.

Ma il nostro coinvolgimento nel mondo cinematografico non finisce e ci porta all’ingresso degli studios Cla alle porte di Ouarzazate. Doverosa la foto tutti schierati e pronti per affrontare una delle mete più importanti del nostro viaggio: l’incontro con il Sahara.

Oggi il risveglio è di quelli delle grandi occasioni visto che il nostro programma ci condurrà finalmente alle grandi dune del deserto, come dice qualcuno “al vero Marocco”.

Felici di avere il sole che ci scorta ci dirigiamo verso la Valle delle Rose che si estende per circa trenta chilometri lungo le rive del fiume Mgoum. Queste coltivazioni sono molto importanti per l’industria cosmetica, in quanto vengono ricavati dai fiori della rosa damascena tutti gli olii essenziali necessari per l’impiego nelle lavorazioni cosmetiche e alimentari. Nonostante l’aria frizzantina, è davvero piacevole percorrere la strada lungo la vallata circondati da rovi di piccoli rose di un colore rosa brillante e da una vegetazione di un verde abbagliante. Particolari i cuoricini confezionati con le rose venduti ai bordi della strada dai bambini…ma in moto dove li mettiamo?!

Consapevoli di trovarci in uno dei posti più frequentati del Marocco proseguiamo ad esplorare le Gole del Dades formatasi tra le pareti dell’Alto Atlante. Questo incredibile paesaggio si offre a chi lo attraversa nella sua natura più sincera, quella della roccia pura erosa negli anni dal corso d’acqua

lasciando il passaggio a chi ora gode di questo spettacolo.

Le nostre moto ondeggiano felici verso la cima delle Gole del Dades in un “biscione” infinito di curve che finisce su una terrazza che domina tutto il paesaggio.

Ristorati da una freschissima spremuta d’arancia riprendiamo il viaggio percorrendo una manciata di chilometri prima che Davide purtroppo ci informi che la strada da quel momento in poi non è percorribile con le nostre moto. Dopo l’immancabile foto striscione con l’ormai collaudato slogan:” Motoexplora non organizza viaggi ma realizza sogni…” ce ne torniamo indietro per riprendere una strada più consona ai nostri mezzi.

Dopo aver assaggiato una pizza marocchina ripartiamo per il nostro viaggio.

La strada che stiamo percorrendo è dritta e attorno a noi c’è il nulla: finalmente il desertico Marocco.

Mentre procediamo verso Merzouga scorgiamo sempre più nitide le dune di sabbia che si stagliano come enormi sculture a riempire il paesaggio e a dare un senso a tutto quel “piattume” che ci ha accompagnato da un po’ di chilometri.

Arriviamo al nostro hotel con 32 gradi di temperatura, dopo aver attraversato un tratto di strada coperta di sabbia, con non pochi disagi per moto e motociclisti.

La prospettiva di un’escursione in jeep sulle dune ci sembra una proposta interessante ed otto di noi decidono di cogliere questa opportunità per gustarci il deserto da vicino.

Lo spettacolo che offre il tramonto sul Sahara non ha paragoni. Mentre il cielo si colora di rosa e delle sue sfumature noi assaporiamo la sensazione che dà la sabbia sui piedi nudi e stupefatti da quello che ci circonda cerchiamo di realizzare che siamo arrivati al tanto atteso Sahara.

Mentre Davide si esibisce in funamboliche piroette con la moto gustandosi appieno le possibilità del suo bolide e la sua abilità di conducente, non son da meno le nostre guide, che conducono le jeep nei sali scendi delle dune facendomi balzare all’interno dell’abitacolo neanche fossimo sulle montagne russe.

Ci fermiamo per degustare un tè alla menta in una tenda berbera osservando la vita che conducono i tuareg del deserto, immortalando il tutto con delle splendide foto.

L’escursione termina nel momento in cui giunge minacciosa l’aria dal deserto che porta con sé un velo di sabbia che comincia a depositarsi su tutto ciò che trova sul suo cammino. Giusto il tempo di fotografare la particolare luna che arriviamo all’hotel accompagnati da una tempesta di sabbia.

Lasciamo Merzouga in una mattina soleggiata ma decisamente ventosa. Appena usciti dal paese notiamo le conseguenze che ha lasciato la tempesta notturna trovandoci davanti la strada coperta di sabbia, davvero un ostacolo importante per le nostre moto.

Superato il tratto sabbioso con non poche difficoltà, sia fisiche che psicologiche, proseguiamo il nostro percorso con un forte vento che sposta le moto facendole ondeggiare pericolosamente e costringendo i nostri motociclisti ad un impegno fisico non indifferente.

Il paesaggio ci dimostra che stiamo lasciando alle spalle il deserto e ci avviamo di nuovo verso il nord con palmeti e laghi che ci accolgono al nostro passaggio e con il vento che purtroppo ha deciso che resterà con noi ancora per molti chilometri.

Ad un tratto il cielo comincia ad annuvolarsi e ci accorgiamo che la temperatura scende in modo repentino. Stiamo per percorrere le montagne dell’Atlante quando la strada ci appare velata dalla nebbia e i nostri caschi all’improvviso si coprono di ghiaccio e nevischio…sì proprio così, grandine e neve…

Non riuscendo a credere ai miei occhi, capisco per quale motivo non mi sentivo più i piedi da qualche chilometro e ora realizzo che la temperatura è decisamente vicino allo zero.

Raggiungiamo la foresta dei cedri in uno stato di semi-assideramento. Persino gli sguardi delle scimmie che popolano quel luogo sembrano dirci: ”che cavolo ci fate qui con questo tempaccio?”

Mentre qualcuno scatta foto e altri gridano di proseguire ed allontanarci il più velocemente possibile, penso che ora più che mai sarebbe utile avere un tè alla menta bollente per riattivare la circolazione.

Raggiungiamo Meknes nel tardo pomeriggio dopo aver fatto una sosta ristoratrice in un bar dove siamo arrivati come reduci da una scalata sul k2. Guardiamo un po’ incavolati il barista che ci spiega come quel clima sia un fatto eccezionale.

Al mattino un timido sole ci accoglie ricordandoci che oggi sarà il nostro ultimo giorno in Marocco. Prima di lasciare Meknes ci facciamo una foto davanti ad una delle porte d’ingresso della città e proseguiamo alla volta di Tangeri.

Lungo il percorso arriviamo a Chefchaouen, la città azzurra. La particolarità di questo luogo sono i suoi tanti vicoletti colorati d’azzurro tra i quali ci perdiamo passeggiando. Un susseguirsi di bancarelle ed attività commerciali animano il paese, l’azzurro degli edifici e i vari angolini pittoreschi trasformano questo luogo in un posto fatato.

Oggi è anche un giorno speciale per un membro del gruppo, Silvia, la nostra bikers, festeggia il suo compleanno. Così ci ritroviamo per il nostro ultimo pranzo insieme brindando, con un po’ di magone, per la fine del nostro viaggio.

Raggiungiamo Tangeri in serata dove ci aspetta la nave che ci riporterà a casa.

Il mio racconto finisce qui, e come di consueto credo sia doveroso ringraziare chi ci ha permesso di viaggiare alla scoperta di una nuova terra in sicurezza e serenità. Davide ed Ismaele che ci hanno fatto conoscere una terra incredibile come il Marocco, per quanto mi riguarda al di sopra di ogni aspettativa. Un ringraziamento a Motoexplora, nella persona di Peppe, per aver messo in programma questo viaggio e pregandolo di non esagerare con gli effetti speciali: la neve e il freddo non erano necessari.

Ringrazio tutto il bellissimo gruppo a cominciare dalle donne: Gabriella, Stefania Carla (ragazze siamo state grandi) ed in particolare ringrazio Silvia a nome di tutte le donne, perché la moto non sempre è associata al genere femminile. Ma in questo viaggio hai dimostrato che le situazioni toste sono gestibili in modo egregio anche dal così detto sesso debole (per chi crede ancora a questa definizione).

E naturalmente i nostri motociclisti: Angelo, Angelone, Gabriele (i tre “santi”), Giorgio e Fabio (la mia ancora dentro la jeep), Paolo, Giovanni, Ruggero (alle sue barzellette, anche con la gomma a terra), Achille (o Arturo…), Fausto, Max, Ezio (con i suoi sorpassi e la sua instancabile telecamera), Rossano (il nostro regista) e Roby con il quale ho condiviso ancora questo tratto di vita insieme.

A questo punto non posso non ringraziare il Marocco per i buonissimi tajin, i bollentissimi tè alla menta, gli scomodissimi tavolini bassi e la sabbia del Sahara che è arrivata a casa con noi.

Silvia Gambin

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